
Donatella Di Cesare: "Rispetto chi non ha firmato l'appello, ma quel che accade a Gaza è pulizia etnica"
di Giulio Ucciero
Professoressa Di Cesare, lei ha firmato convintamente l’appello. Perche´?
L’appello ha evidentemente diversi obiettivi. Si rivolge anche all’opinione pubblica per mostrare, fra l’altro, che il mondo ebraico non è monolitico e non tutti hanno una posizione acritica nei confronti del governo di Israele. L’intento è denunciare quello che sta avvenendo. Occorre aprire prospettive di pace concreta ricordando che i destini di questi due popoli sono intimamente intrecciati.
Non si puo` continuare a pensare che l’unica soluzione per l’uno sia l’annientamento dell’altro.
L’appello ha diviso la comunita` ebraica, si è aperta una profonda discussione. Proprio a partire dalla terminologia usata nel manifesto che anche lei ha sottoscritto.
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Mi sono sempre rifiutata di usare il termine “genocidio”, usato come una pietra. Il termine fu, infatti, coniato dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin e venne impiegato per lo sterminio degli ebrei d’Europa. Trovo che ci sia qualcosa di perverso nel trasformare i genocidati di ieri in genocidari di oggi. Ho sempre criticato, anche nei miei scritti, questa nazificazione del popolo ebraico che comincia gia` nella Germania del 1945 e prosegue poi, come sappiamo, in forme ancora piu` virulente dopo la fondazione dello Stato di Israele. Percio` mi dispiace molto che questo termine sia stato impiegato anche da chi ha responsabilita` politiche ed etiche nello spazio pubblico.
Nell’appello, infatti, non si parla di genocidio, ma di pulizia etnica.
Esatto. Le parole sono importanti. La “pulizia etnica” è ben diversa dal genocidio. E per me è proprio quel che è avvenuto a Gaza. Questa parola descrive la politica di Benjamin Netanyahu e dei suoi ministri di estrema destra, dal 2017 ad oggi. Lo stiamo vedendo anche altrove.
Ci faccia qualche esempio.
La pulizia etnica caratterizza oggi tutte le politiche della Nuova Destra in Israele, in Europa, negli Stati Uniti. Basti leggere il programma del partito tedesco Alternative für Deutschland. Che cos'è la auspicata “remigrazione” se non una pulizia etnica? Ma sotto questo termine rientra anche la deportazione degli immigrati irregolari di Donald Trump o le politiche migratorie perseguite da governi europei – anche da noi in Italia. In questo senso il governo israeliano di estrema destra non è un’eccezione.
Torniamo a Gaza e all’appello, davvero crede che il governo israeliano stia eliminando tutti i palestinesi?
La pulizia etnica è la formula che descrive le azioni del suo esecutivo. Parliamo di un modo di fare politica su base etnica, una volonta` di ridurre la democrazia a una etnocrazia. Ne ho gia` scritto piu` volte, ma non vorrei essere troppo tecnica.
Serve piu` chiarezza possibile, continui pure. Molti contestano questo termine, lo definiscono impreciso.
Sbagliano. Parliamo del tentativo di ridurre un popolo, un demos, all’éthnos, ai suoi confini etnici. E` un tema su cui nella filosofia contemporanea c’è da tempo un ampio e articolato dibattito. Si parla percio` di biopolitica, cioè una politica che mira a modellare il corpo del popolo. Tecnicamente, infatti, dovremmo parlare di rimodellamento biopolitico del popolo. Questa è la caratteristica cardine della politica della Nuova Destra. Netanyahu è un esempio lampante. Per il popolo ebraico che ha la figura del gher, dello straniero, al suo cuore, questo è inaccettabile.
Un’altra critica mossa dai contrari all’appello, come Luciano Belli Paci, il figlio della senatrice Liliana Segre, è che questo testo avrebbe diviso in due gli ebrei, quelli buoni e quelli cattivi. Che ne pensa?
Andrebbe rovesciato il discorso. La divisione non è forse un segnale di democrazia? Vogliamo davvero eliminare il dissenso? Cosa vogliamo diventare? Le divisioni fanno parte della comunita` democratica. E poi non mi risulta che la comunita` ebraica sia un partito politico.
Non c’è il rischio, pero`, che cosi` facendo, cioè dividendo in due gruppi gli ebrei italiani, si esponga a degli attacchi chi non ha firmato?
Chi non ha firmato, o non desidera firmare ora, avra` le sue ragioni che non posso non rispettare.
Si aspettava tanta discussione attorno all’appello?
Certo, me lo aspettavo. Non mi stupisce perche´ so che il mondo ebraico è caratterizzato storicamente da una capacita` di critica interna. Inoltre, viviamo in tempi attraversati dalla polemica, nel senso di polemos, e di venti di guerra.
La scrittrice Edith Bruck, intervistata da questo giornale, ha parlato di uno tsunami di antisemitismo. Lei ne ha scritto moltissimo. Condivide la preoccupazione di Bruck?
Si`, ha ragione Edith Bruck. Dopo il 7 ottobre è proprio uno tsunami. Ritengo che l’antisemitismo abbia raggiunto vette impensabili in tutta Europa. Non sta solo nel graffito sul muro dei pro-Pal o nell’insulto sui social dei neonazisti. Si nasconde piuttosto in silenzi, non-detti, atteggiamenti ostili, osservazioni incidentali: voltarsi dall’altra parte, abbassare lo sguardo, non mostrare interesse. Si deve riconoscere che esiste un antisemitismo ovattato, filtrato, velato. Nuovi stigmi si intrecciano ai precedenti, accuse dimenticate riemergono con accenti inediti. Lo vediamo tutti i giorni, ma proprio per questo dobbiamo prendere posizioni critiche. L’odio aumenta quando si generalizza e si stigmatizza: i buoni e i cattivi, i bianchi e i neri. Penso sia oggi il compito di tutti decostruire l’odio, smontare quei meccanismi che alimentano i pregiudizi. Il nostro appello ha smontato qualche fronte. Non c’è omogeneita`. La coscienza ebraica alla prova di Gaza si interroga e non pensa solo alle proprie vittime. Piange l’uccisione terribile dei due bambini Bibas, ma piange anche i tanti bambini palestinesi, morti innocenti sotto le bombe.
Da Huffpost, 28/2/2025
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