da "Il Manifesto", 18.03.2024
Michele Giorgio, KFAR YONA
C’erano i genitori e la sorella mercoledì alle 8 ad aspettare Sofia Orr fuori dalla prigione Neve Tzedek, nella base militare di Kfar Yona, dove è stata detenuta dal 25 febbraio. Quel giorno la 18enne israeliana, presentandosi al centro di reclutamento, aveva dichiarato il suo rifiuto del servizio di leva perché «non vuol far parte di un esercito di occupazione del popolo palestinese» nonché responsabile dell’offensiva che sta devastando Gaza.
SORRISI, abbracci e qualche lacrima al suo arrivo, sotto lo sguardo severo dei militari di guardia e di tre agenti della sicurezza che hanno controllato i documenti di tutti i presenti, anche dei giornalisti stranieri. Grande la gioia dei genitori, sostenitori dichiarati «sino in fondo» delle ragioni della figlia.
«Non è facile, specialmente in questo momento, proclamarsi contro la guerra. Tra i nostri vicini alcuni rispettano la scelta di Sofia, tanti altri no, la condannano e non mancano di farci sapere la loro opinione», ci ha detto Hulu Orr, il padre di Sofia. Dalla parte dei refusenik c’è l’organizzazione Mesarvot, che tutela, o almeno prova a farlo, gli obiettori di coscienza e diffonde le loro motivazioni.
Sofia Orr mercoledì ha solo ottenuto un permesso, domenica tornerà a Kfar Yona e, con ogni probabilità, la detenzione sentenziata a febbraio dal giudice militare sarà estesa. La ragazza si è aggiunta a Tal Mitnik, suo coetaneo, incarcerato per gli stessi motivi alla fine del 2023.
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L’obiezione di Mitnick: «Rifiuto l’uniforme israeliana»
«Ho deciso di rifiutare – ci ha detto Sofia – molto prima dell’inizio della guerra contro Gaza, ho fatto questa scelta quando avevo 15 anni, perché non voglio partecipare all’occupazione dei palestinesi. Se mi fossi arruolata avrei preso parte a un ciclo di violenza decennale. Non potevo farlo e inoltre devo contribuire a mettere fine all’oppressione. Lo faccio per tutti gli israeliani, anche se solo una esigua minoranza lo comprende, e i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, perché ogni essere umano merita di vivere in dignità e sicurezza».
Più numerosi in passato, da quando la politica e la società in Israele hanno virato con decisione verso destra i refusenik si sono fatti più rari. A maggior ragione oggi che Israele si considera in guerra con Hamas, di fatto con tutti i palestinesi, dopo l’attacco lanciato dal movimento islamico il 7 ottobre che ha fatto circa 1.200 morti. Con il militarismo ancora più accentuato, in una società che venera i suoi soldati e il servizio di leva, dichiararsi obiettore è considerato un «tradimento».
RIFIUTARSI di entrare nelle forze armate per principi politici non è ritenuta una motivazione valida per quasi tutti gli israeliani ebrei (i cittadini arabi, ossia i palestinesi con cittadinanza israeliana non fanno il militare). L’esercito israeliano dispone di un comitato per gli obiettori di coscienza, ma le esenzioni vengono solitamente concesse per motivi religiosi, come avviene per gli ebrei haredi ultraortodossi (la legge potrebbe cambiare).
Perciò, i refusenik finiscono per scontare detenzioni che durano settimane o mesi prima di essere congedati, di fatto espulsi dell’esercito. Chi non fa il militare inoltre non avrà accesso a una serie di privilegi previsti, in particolare per i soldati delle unità di combattimento, e porterà per sempre questa «macchia» nel suo curriculum.
«La società israeliana – ha concluso Sofia – fa di tutto per ignorare l’occupazione e i palestinesi, vive come se non esistessero. Ma l’occupazione non scompare. Resta e continua ad aggravarsi e prima o poi esplode».
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Yonatan, 18 anni: «Isolato dai miei amici, la mia famiglia e il mio Paese»
INTERVISTA. Parla un refusenik: «Essere obbiettore di coscienza è una delle scelte più dure in Israele. La società è fondata sulla guerra, non è presa in considerazione la possibilità di non farne parte»
Filippo Zingone
A Gerusalemme abbiamo incontrato l’obiettore israeliano Yonatan.
Raccontaci un po’ di te.
Sono uno studente di arte di 18 anni, un attivista per la pace e un obbiettore di coscienza. Mi sono rifiutato di andare sotto le armi. Ho ricevuto la mia esenzione dal servizio militare qualche mese fa. Vengo da una famiglia molto religiosa e militarista. I miei parenti sono tutti nell’esercito. Subisco e ho subito una forte pressione affinché mi unissi all’esercito, ma anche per le mie idee politiche.
Quando hai deciso di non voler fare il servizio militare e perché?
Da bambino ero violento. Una volta ho rotto un muro di cartongesso e l’ho dovuto rimettere a posto con mio padre, ci ho messo 5 ore a ripararlo. Poi ho pensato che romperlo era stato facile ma rimetterlo a posto invece era stato lungo e difficile. È stato il primo passo verso la mia decisione di abbracciare la non violenza. All’inizio del liceo ho detto che non volevo andare a sparare e che se fossi entrato nell’esercito avrei fatto lavori di ufficio. Poi a 16 anni sono andato a un summer camp del Parents Circle con famiglie palestinesi e israeliane e per la prima volta ho incontrato un palestinese e ho ascoltato la sua storia. Lì sono venuto a conoscenza dell’occupazione, dell’oppressione e dell’apartheid. A quel punto mi si sono aperti gli occhi: anche se fossi stato solo un segretario avrei aiutato il sistema e ho deciso che non avrei fatto il servizio militare.
Quindi prima dei 16 anni non hai mai conosciuto un palestinese?
La maggior parte degli israeliani non parla con i palestinesi della West Bank o di Gaza, se parlano con i palestinesi è con quelli che vivono in Israele. La società israeliana nasconde quello che succede in Palestina; non diciamo «occupazione» e non parliamo di quello che facciamo là, nascondiamo tutto sotto il tappeto.
Come hai ottenuto l’esenzione dalla leva?
Ho provato ad ottenerla per motivi di salute mentale, soffro di depressione e stati d’ansia, ma l’ho ricevuta perché considerato non qualificato. Molte persone che lamentano problemi di salute mentale vengono comunque obbligate alla leva, peggiorando la loro condizione. Ci sono molti suicidi, se non sbaglio l’anno scorso si sono uccisi 16 militari. Molti si uccidono nei due anni di servizio obbligatorio.
Cosa pensano i tuoi coetanei dell’esercito e della situazione palestinese?
La maggior parte dei miei compagni non sono interessati all’aspetto politico. Molti non vorrebbero andare sotto le armi, ma si sentono obbligati a farlo perché è quello che ci viene detto per tutta la vita. La società israeliana è una società militare, devi mettere in conto di donare due anni all’esercito. Penso che pochi vorrebbero prendere una pistola e sparare ai palestinesi. La decisione di fare il servizio militare non è al 100% libera: se dicessi ai miei compagni che non sono obbligati a farlo, la maggior parte non ci andrebbe.
Quale è il tuo rapporto con chi la pensa diversamente da te su questo tema?
Essere obiettore di coscienza è una delle scelte più dure da prendere in Israele. Tutta la nostra società è fondata sulla guerra, non è presa in considerazione la possibilità di non farne parte. In quanto obiettore senti una pressione continua, non puoi esprimere quello che senti. Non posso usare la parola occupazione, io e altri amici siamo stati picchiati per averla pronunciata. Mi sento isolato dai miei amici a scuola, dalla mia famiglia e dal mio paese. Se non avessi trovato la comunità di attivisti Mesarvot, avrei avuto sicuramente molti più problemi.
Cosa pensi di quello che sta succedendo a Gaza e di quello che è successo il 7 ottobre?
Il 7 ottobre è stato un massacro di Hamas. Ma è importante capire che le cose non sono iniziate il 7 ottobre. La società vuole che il pensiero sia questo: tutto è incominciato il 7 ottobre. Ma sono più di 70 anni che i palestinesi a Gaza e in West Bank vivono nell’inferno. Per quanto riguarda la guerra, c’è morte ovunque, troppi bambini muoiono per nulla, l’obbiettivo è la pulizia etnica, il genocidio. Il fidanzato di mia sorella è nell’esercito e sta combattendo. Da una casa ha rubato una collana da portarmi, è una collana usata dai musulmani durate la preghiera: la voglio seppellire. Questa collana mi ricorda quello che hanno rubato al mio bisnonno i tedeschi prima di ucciderlo, mi da le stesse sensazioni, ed è molto pesante. È una guerra inutile, fatta solo per vendetta. Lo sappiamo che è per vendetta, tutti lo sanno, dicono che non è così ma mentono.
Cosa pensi che succederà dopo questa guerra e quali sono le tue speranze?
Le persone sono stanche di questo governo di questa violenza, vogliamo solo fermare la guerra e portare a casa gli ostaggi. Penso che i combattimenti continueranno e altre persone moriranno. Quello che spero è che riusciremo a vederci l’un l’altro per quello che siamo, riconoscendoci come esseri umani. Spero che la guerra finisca il prima possibile e che riusciremo a costruire un futuro migliore per i palestinesi e gli israeliani. E vorrei riuscire vedere il mio amico palestinese in West Bank, quando ci riuscirò allora sarò veramente felice.
Mai indifferenti