Mai indifferenti - Voci ebraiche per la pace da "Il Manifesto", 29 novembre 2024

Ebraismo oltre la linea nera

Il 18 ottobre un gruppo di ebrei milanesi ha inviato una lettera al sindaco Sala per contestare la proposta di una consigliera comunale leghista di insignire l’Ambrogino d’oro al presidente della comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi. Quasi due settimane dopo, Meghnagi ha ricusato la candidatura e l’Ambrogino è andato a una squadra di calcio antirazzista, il Sant’Ambroeus FC presieduto da Jonathan Misrachi.
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QUESTO DISSENSO ha messo in luce, non per la prima volta, una spaccatura esistente in seno alla piccola comunità ebraica italiana (non più di 30mila persone). L’invito di Meghnagi a La Russa è la spia di un fenomeno generale: negli ultimi trent’anni anni il baricentro politico delle comunità ebraiche italiane si è spostato a destra. Ciò riflette e allo stesso tempo influenza la reazione degli ebrei italiani al 7 ottobre e a ciò che è venuto dopo. Nel dopoguerra, l’elettorato ebraico ha votato quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, dal Partito Repubblicano al Partito Comunista, fino all’attuale Partito Democratico ma si è ben guardato dal votare in massa i partiti post-fascisti eredi del Movimento Sociale. Da qualche anno la pregiudiziale antifascista è caduta, come del resto è successo per circa un terzo degli italiani. Meghnagi, in un’intervista a giugno al Corriere della Sera, ha sostenuto che gli ebrei italiani si sentono protetti da Fratelli di Italia. Tuttavia non è l’unico rappresentante istituzionale delle comunità ebraiche in ottimi rapporti con i postfascisti. Quindici anni fa, Riccardo Pacifici, ex presidente della comunità ebraica romana vantava un forte legame con il sindaco della capitale Alemanno ed Ester Mieli, ex portavoce della stessa comunità, è dal 2022 senatrice di Fratelli d’Italia (FdI).

LE RAGIONI che spiegano questa parabola sono molte e spesso intrecciate tra loro. In generale, le posizioni degli ebrei italiani sono tendenzialmente conformi a quelle dell’elettorato italiano, in particolare per ciò che riguarda l’adesione all’agenda economica e securitaria della destra. Una ragione importante riguarda uno dei principi su cui si fonda l’identità ebraica (almeno per la maggioranza degli ebrei italiani): l’identificazione pressoché totale con Israele, considerato da anni come Stato guida a cui nulla può essere rimproverato. Quindi se Israele svolta a destra, l’ebraismo italiano gli va dietro, perché ormai nelle istituzioni ebraiche italiane metterne in discussione le politiche è impensabile.

IL RISULTATO È che, anche se Israele si è radicalizzato a tal punto da eleggere un governo etno-nazionalista di estrema destra, buona parte degli ebrei italiani non riesce ad azzardare alcuna critica alla carneficina di Gaza scaricando ogni responsabilità su Hamas. Poiché FdI e Lega, privi delle inibizioni che esistono in altri partiti, non perdono occasione per sostenere Netanyahu, una parte degli ebrei italiani ha rimosso le antiche remore e vota partiti razzisti che diffondono teorie cospirazioniste come la «Grande Sostituzione». Secondo questo incubo dell’estrema destra, l’immigrazione non bianca e non cristiana sarebbe promossa da un’élite cosmopolita e senza patria – i miliardari ebrei come Soros, tacciato di essere un «usuraio» da Giorgia Meloni in un passato recente.

Inoltre i postfascisti, da tempo, per legittimarsi e farsi perdonare le nostalgie del Ventennio devono dismettere l’aperto antisemitismo, peraltro ancora diffuso tra esponenti del partito. In cambio forniscono sostegno acritico ai governi israeliani riguardo la questione palestinese e, per di più, promuovono l’islamofobia. Su questo terreno, dopo l’11 settembre, si sono trovati in sintonia con parte delle comunità ebraiche.
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Una parte degli ebrei così si è convinta che la minaccia principale venga dal terrorismo jihadista più di quanto non venga dall’estrema destra. «Avendo visto quello che succede in Francia, si sono spaventati», continua Momigliano. In quest’ottica, «il pericolo viene dall’estremismo islamico, la destra vuole fermare l’immigrazione dai paesi islamici, dunque ci protegge, poi certo magari sono anche un po’ antisemiti, ma sono fisicamente meno pericolosi dei jihadisti, dunque si chiude un occhio».
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Tuttavia la comunità ebraica italiana non è un monolite. Per esempio, il centro-sinistra ebraico (Gruppo Martin Buber, Noi Ebrei Socialisti e J-Call) non ha alcun rapporto con i postfascisti. D’altro canto, queste associazioni sul post 7 ottobre hanno, in sintonia con Sinistra per Israele, posizioni politiche piuttosto timide così riassumibili: a differenza della Cisgiordania, Gaza fino al 7 ottobre non era sotto occupazione, Israele non pratica l’apartheid nei Territori occupati, i numeri delle vittime palestinesi sono inaffidabili in quanto forniti da Hamas e infine l’antisemitismo è l’unica chiave d’interpretazione del 7 ottobre e della montante ostilità nei confronti dello stato ebraico. A questi giudizi si aggiunge la reticenza a prendere atto delle affermazioni genocidarie di ministri e dirigenti israeliani. Sostanzialmente queste posizioni echeggiano quelle della sinistra sionista israeliana del Labour e di Meretz.

VI SONO LIEVI differenze tra comunità. Se a Milano e a Roma i rappresentanti (eletti) degli organismi ebraici votano a destra o comunque vi intrattengono eccellenti rapporti ben al di là degli obblighi istituzionali, le piccole comunità di Torino – dove viene pubblicata la rivista progressista Ha Keillah – , e Firenze sono un po’ più pluraliste e aperte al dibattito. Infine, vi sono gruppi e individui che non accettano la narrazione dominante secondo cui Israele, vittima dell’odio arabo-musulmano, sta conducendo una guerra di autodifesa in conformità con le regole del diritto umanitario internazionale. I due gruppi più visibili sono il Laboratorio ebraico antirazzista (Lea) e Mai Indifferenti che dal 7 ottobre 2023 hanno animato appelli e iniziative contro la guerra e l’occupazione e per il ritorno degli ostaggi.

A febbraio, Mai Indifferenti ha pubblicato un appello in cui gli estensori si dicevano traumatizzati dal 7 ottobre ma contrari alla ritorsione indiscriminata che aveva già ucciso quasi 30mila palestinesi. Inoltre, si opponevano alla strumentalizzazione dell’accusa di antisemitismo a difesa dell’intervento militare israeliano. Un punto di vista che resta valido ancora oggi.

Bruno Montesano, David Calef


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