Mai indifferenti - Voci ebraiche per la pace

Lo specchio in cui gli israeliani non vogliono guardarsi (e noi nemmeno)

di Gianluca Mercuri

«Possiamo continuare a ignorare il numero di palestinesi uccisi nella Striscia - più di 52.000, tra cui circa 18.000 bambini; a mettere in dubbio la credibilità delle cifre, a usare tutti i meccanismi di repressione, negazione, apatia, allontanamento, normalizzazione e giustificazione. Niente di tutto questo cambierà l'amaro dato di fatto: Israele li ha uccisi. Sono state le nostre mani a farlo».

«Non dobbiamo distogliere lo sguardo. Dobbiamo svegliarci e gridare forte: fermiamo la guerra»
.

In questi decenni ne abbiamo letti tanti, di editoriali di Haaretz. Pieni di coraggio e di verità. Ma quello di oggi è unico, va oltre l'appello accorato, la denuncia vibrante. Quello di oggi è uno specchio, lo specchio di Israele ma anche il nostro. Per accorgersene basta sostituire le parole Israele e israeliani con Occidente e occidentali, Europa ed europei, ma anche Italia e italiani. L'assuefazione a queste immagini e a quello che raccontano - l'uccisione sistematica di persone innocenti, la deportazione di massa programmata per una popolazione di oltre due milioni di persone - è un problema di tutti noi. Proprio perché ormai tendiamo a viverlo non solo e non tanto come un problema altrui, ma come un non problema. Altri palestinesi morti, altri bambini, e allora?

Per questo editoriale, i giornalisti di Haaretz saranno considerati ancora una volta dai loro connazionali di destra dei disfattisti, se non traditori, e non ciò che sono davvero: patrioti sionisti che considerano la conquista di tutta la terra tra il Mediterraneo e Giordano non solo un sopruso ma la rovina stessa di Israele, la perdita della sua anima democratica e la sua definitiva trasformazione in etno-Stato suprematista. Per averlo ripreso, questa newsletter riceverà commenti di protesta e di approvazione. Più di protesta però. Non perché siano più numerose, le persone che approvano ciò che Israele fa a Gaza. Sono però più arrabbiate, di una rabbia disperata, e non tollerano lo specchio. Lo considerano una provocazione che ignora la storia. L'ultima è questa:

«Haaretz no per favore... Ho 58 anni e sono 45 che vado in Israele, sono tornato 10 giorni fa da Tel Aviv, ho visitato Nir Oz e il Memoriale del Nova Festival (due luoghi simbolo del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, ndr). Ho una figlia che vive là».
«Ero a favore del dialogo con i palestinesi, dopo il 7 ottobre è finito tutto. Non meritano nulla. La soluzione dei due Stati è morta. Se ne devono andare, le loro occasione le hanno avute e le hanno tutte buttate al cesso».
«E lo sa perché? Perché della terra non gli frega nulla. Vogliono solo annientarci. Uno per uno. Come già qualcuno ha provato a fare negli anni '40. In fondo il 7 ottobre ha dimostrato solo una cosa: da Auschwitz, Birchenau, Dachau, passi in avanti non se ne sono fatti. Checché se ne dica. Io Haaretz, che ha un conto personale aperto con Netanyahu, lo considero carta straccia che fa gli interessi dei nemici di Israele. Ve la prendete con Netanyahu ma non avete capito che chiunque altro al suo posto avrebbe fatto le stesse identiche cose. Perché quando è in gioco la sopravvivenza di Israele esiste un "pensiero unico"».
«Siamo soli, lo siamo sempre stati. Abbiamo solo un obiettivo: vincere questa guerra, a qualsiasi costo».


Si potrebbe replicare in molti modi, spiegare per l'ennesima volta le colpe ventennali del primo ministro israeliano, ribadire che è - eccome - una questione di terra perché gli oltranzisti delle due parti la vogliono tutta, ma mentre gli oltranzisti palestinesi per fortuna non potranno mai vincere - e la soluzione dei due Stati sarebbe la loro massima sconfitta -, gli oltranzisti di Israele sono al governo, vicini come mai prima d'ora all'obiettivo. Oppure si potrebbe notare, ancora una volta, che i palestinesi pagano anche la Shoah, duemila anni di persecuzioni degli ebrei fino allo sterminio di ottant'anni fa, commessi da quelli di cui sopra, occidentali, europei, anche italiani. Noi.

La rabbia disperata del nostro lettore contiene tanto dolore che merita rispetto, nonostante il nichilismo che esprime, la negazione dell'umanità del nemico. La forma di rispetto più appropriata è provare a capirne le ragioni. È vero che l'obiettivo della «distruzione totale di Hamas» sbandierato da Netanyahu è condiviso dalla maggioranza degli israeliani. La maggioranza degli esperti, gli analisti, gli specialisti del Medio Oriente, invece non lo ritiene plausibile. Ma per capire gli israeliani, proviamo a immaginare che lo sia. È utile, da questo punto di vista, il contributo di David French, esperto del New York Times, che tiene a specificare il carattere prettamente militare delle sue considerazioni, non certo perché quelle politiche non contino, «ma piuttosto perché spesso prestiamo troppa poca attenzione alle realtà militari, e il successo o il fallimento delle operazioni militari può trasformare completamente il risvolto politico di una crisi internazionale».

Dunque, per una volta non ci si sofferma sul capo dell'ultradestra israeliana dei coloni, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che dice apertamente che Gaza va occupata per sempre, la sua popolazione cacciata, e si prepara a far approvare un maxi-piano di costruzioni in Cisgiordania (il West Bank) che la spaccherà in due, «perché è così che si uccide lo Stato palestinese».

Diciamo invece che, se la distruzione di Hamas fosse possibile, l'occupazione della Striscia di Gaza ne sarebbe in effetti il presupposto necessario. David French lo spiega bene: «Dal punto di vista militare, se non si conquista e non si controlla il territorio, la guerra rischia di trasformarsi in un esercizio infinito di uccisione di terroristi. E se i terroristi si frappongono illegalmente alla popolazione civile (come ha sempre fatto Hamas), allora uccidere i terroristi significa anche che i civili saranno coinvolti nel fuoco incrociato. Certo, l'esercito può danneggiare enormemente le forze terroristiche e diminuire temporaneamente la loro capacità di compiere attacchi, ma se non si sostituisce il controllo dei terroristi (sul territorio) con una forza concorrente, i jihadisti hanno il tempo e lo spazio per recuperare alla fine la loro forza».

Non solo. Se la guerra continuasse con le modalità attuali, fa capire lo specialista americano, la situazione non potrebbe che peggiorare per la popolazione, che resterebbe soggetta alla triplice disgrazia del fuoco israeliano, della mancanza di cibo e del controllo di Hamas. Invece, «spostare i civili dalle zone di conflitto, prendere il controllo della distribuzione degli aiuti e rimanere nelle aree sgomberate da Hamas per mantenere la sicurezza e il controllo in modo che Hamas non torni», scrive, sarebbe molto meglio sia sul piano della lotta ai terroristi sia su quello della tutela degli abitanti. Ma anche alla luce della sua esperienza personale in Iraq, French spiega che l'occupazione può essere una soluzione migliore solo è provvisoria: «Finché l'occupazione sarà temporanea, con un ritorno al controllo civile palestinese non appena le condizioni lo permetteranno, allora potrebbe finalmente esistere un percorso per porre fine alla guerra (o, almeno, per porre fine alle principali operazioni di combattimento) e distruggere Hamas. Se, invece, l'occupazione è destinata a essere permanente - compreso il trasferimento permanente di tutta o parte della popolazione civile di Gaza - allora il piano rappresenterebbe un crimine contro l'umanità. Questo è l'approccio che il presidente Trump ha ventilato a febbraio (anche se non è chiaro quale sia la sua politica oggi). Questo è l'approccio dei peggiori integralisti del governo israeliano, e non è solo illegale. È una ricetta per una guerra infinita».

Ancora più chiaramente: «Sebbene lo spostamento dei civili sia talvolta obbligatorio per preservare le loro vite, tale spostamento non può essere permanente. Una cosa è spostare i civili dalla zona di battaglia. Un'altra cosa è impedire il loro ritorno quando la battaglia è finita. Altrimenti, lo sfollamento temporaneo diventa un trasferimento forzato di popolazione, un altro termine per indicare la pulizia etnica, un crimine contro l'umanità secondo il diritto internazionale».

Da Il Punto-Rassegna Stampa del Corriere della Sera, 8/5/2025



Mai indifferenti