Mai indifferenti - Voci ebraiche per la pace da "La Repubblica", 19 Marzo 2024

L’ex-premier è Ehud Olmert, uno dei più noti politici israeliani, che è stato sindaco di Gerusalemme, esponente di primo piano del Likud (lo stesso partito conservatore oggi guidato dal premier in carica Benjamin Netanyahu), più volte ministro e lui stesso primo ministro alla testa di un nuovo partito di centro, dal 2006 al 2009, quando rimise in moto i negoziati di pace con i palestinesi. Forse sarebbe riuscito a concludere uno storico accordo di pace, senonché fu costretto a dimettersi per accuse di corruzione, a causa delle quali ha scontato una breve sentenza carceraria e che comunque, fra processi e polemiche, hanno messo fine alla sua carriera pubblica.

Adesso, a 78 anni, Olmert è uno dei critici più duri di Netanyahu, a cui ha rinnovato gli attacchi con l’occasione del discorso pronunciato nei giorni scorsi dal senatore americano Chuck Schumer, leader del partito democratico al Senato e il politico statunitense di origine ebraica con il più alto incarico. Nel suo intervento Schumer ha condannato senza mezzi termini l’aggressione di Hamas del 7 ottobre scorso, ha difeso appassionatamente il diritto di Israele di difendersi, ha ribadito il suo sostegno decennale allo Stato ebraico, ma ha concluso che Netanyahu, rifiutando di indicare un percorso negoziale per ricostruire Gaza e dare uno stato ai palestinesi nel dopoguerra, oltre che insistendo a continuare l’offensiva militare nella Striscia con una imminente operazione nella città di Rafah, è diventato “un ostacolo alla pace”, e ha auspicato elezioni anticipate affinché un nuovo premier prenda il suo posto.

Netanyahu l’ha giudicata una “interferenza inappropriata” e ha risposto che Israele “non è una repubblica delle banane” a cui Washington può dire cosa deve fare. Il presidente Biden ha appoggiato le parole del senatore Schumer. Donald Trump ne ha approfittato per accusare il partito democratico di avere abbandonato Israele: “Ogni elettore americano che voterà democratico”, ha detto a proposito delle presidenziali del novembre prossimo, “tradirà lo Stato ebraico”.

In questo sempre più infuocato dibattito è intervenuto ora Olmert. L’ex-premier israeliano ha inviato una lettera al senatore democratico Schumer dicendosi d’accordo con la sua richiesta di elezioni anticipate per sostituire Netanyahu. Definendo Schumer “un grande amico di Israele”, Olmert lo ha elogiato “per il coraggio dimostrato nel dire quello che pensano anche molti ebrei in tutto il mondo e molti tradizionali sostenitori di Israele”. In effetti, ha aggiunto Olmert, “l’odierno primo ministro di Israele non è degno delle responsabilità che gli assegna l’incarico”.

Un riferimento non solo alle contestate scelte strategiche nella guerra di Gaza, ma pure alle polemiche precedenti, per avere formato il governo più di destra nella storia del suo Paese, per avere cercato di imporre una riforma della giustizia denunciata dai suoi avversari e da manifestazioni di massa come una limitazione della democrazia e per i processi per corruzione che lo attendono all’orizzonte.

Ma due dei più autorevoli commentatori di affari internazionali sulle opposte sponde dell’Atlantico, entrambi di origine ebraica, si esprimono oggi sulla stessa linea del senatore Schumer e dell’ex-premier israeliano Olmert. “Biden e Schumer hanno ragione” nell’aumentare la pressione su Netanyahu, scrive Thomas Friedman sul New York Times, al fine di costringerlo a scegliere se venire ricordato come” il primo ministro che ha subito il massacro del 7 ottobre o il primo ministro che ha fatto la pace con i palestinesi e con l’Arabia Saudita”, secondo la mappa diplomatica delineata dal piano della Casa Bianca. “Appoggiare Israele e appoggiare il suo attuale primo ministro”, concorda Gideon Rachman sul Financial Times, “non è la stessa cosa”.



Mai indifferenti