Non fidiamoci di chi passa da antisemita a sionista
di Gad Lerner
da "Il Fatto quotidiano", 29.06.2024
Ci vuole una bella faccia tosta per mostrarsi ignari, addirittura stupefatti, della presenza di razzisti, antisemiti e nostalgici fra i militanti di Fratelli d’Italia. E non solo fra i vecchi, non solo nella base del partito, ma anche nelle nuove leve che l’attuale gruppo dirigente formatosi nell’esperienza del post-fascismo italiano ha allevato a propria immagine e somiglianza.
Appagati dal fatto che la discriminante antifascista scivola vieppiù in secondo piano nella sensibilità dell’italiano medio, Giorgia Meloni e il suo entourage fin qui hanno ritenuto conveniente far finta di nulla, confidando sulla smemoratezza dei concittadini e sulla benevolenza dei partner esteri, più interessati al rispetto della lealtà atlantica che a fare i conti con la storia del Novecento. Anche l’inchiesta di Fanpage sarebbe probabilmente passata in cavalleria se non avesse toccato un punto nevralgico su cui questa destra nazionalista tornata al governo del Paese fonda la propria legittimazione: il radicale capovolgimento del suo rapporto con l’ebraismo dacché lo Stato d’Israele ne ha assunto il ruolo di epicentro. Sono certo che se un giornalista avesse interpellato sul conflitto israelo-palestinese gli stessi militanti di FdI che in privato manifestano disprezzo per gli ebrei (ma sì, anche quel Paolo Signorelli che mi apostrofava come “porco”), le risposte sarebbero state di ammirazione per Netanyahu e l’operazione militare scatenata dal suo governo a Gaza.
Per quanto possa sembrare paradossale, si può essere al tempo stesso antisemiti – continuando a vedere nell’ebreo il simbolo infido, predatorio e/o sovversivo, del cosmopolitismo apolide – e ammiratori del sionismo nazionalista inteso (malinteso) come cemento etnico su cui fondare la compattezza di una patria esclusiva. Non ha portato fortuna a Israele l’essere diventato un modello, se non addirittura il paladino, delle destre nazionaliste di matrice cristiana tradizionalista, o comunque suprematista. Lo hanno visto come baluardo contro l’espansionismo islamico. I successi della sua economia collegati agli investimenti in tecnologie militari hanno sollecitato una commistione di interessi privati oltre che politici. Non è parso vero alle destre che dovevano emendarsi dalle colpe storiche delle persecuzioni razziali individuare in alcuni pensatori israeliani i maestri del loro nuovo sovranismo: la raccomandazione, cioè, di coltivare uno spirito di potenza del tutto autonomo, fondato sulla propria esclusiva omogeneità di fede e tradizione, fino alla santificazione pagana della terra e al rifiuto di qualsivoglia vincolo delle istituzioni sovranazionali.
È doveroso precisare che questa visione d’Israele, ammirato e temuto in quanto potenza nazionale, rappresenta un inedito nella storia millenaria dell’ebraismo e stride assai con i codici morali e il messaggio universalistico della Bibbia che ne hanno perpetuato l’influenza nei secoli della dispersione e delle persecuzioni. Rifugiarsi fra le braccia di questi neofiti sionisti cristiani per i quali Israele altro non è stato che uno smacchiatore di colpe storiche nonché l’emblema di una guerra di civiltà, appare davvero solo una mossa disperata. Tanto più dopo che l’attacco criminale di Hamas il 7 ottobre ha rivelato la vulnerabilità di questo modello oppressivo nei confronti dei vicini palestinesi, come se la democrazia potesse essere una prerogativa riservata solo alla tua gente. Credo che in questi giorni di crescente isolamento internazionale anche i portavoce delle Comunità ebraiche italiane stiano percependo la precarietà del loro affidarsi all’amicizia strumentale, infida, precaria, di chi concepisce Israele come un ariete da usare in un combattimento a cui peraltro loro stessi si sottrarrebbero. Leggo dichiarazioni imbarazzate e reticenti di chi pensava di aver risolto i propri dilemmi sentenziando che l’antisemitismo ormai era diventato sinonimo di antisionismo e andava combattuto schierandosi con la destra contro la sinistra, capovolgendo l’esperienza del Novecento.
Troppo facile sarebbe ricordare il lungo elenco di intimidazioni, offese, falsificazioni storiche, vere e proprie minacce antisemite, di cui io stesso sono testimone diretto, pervenute nei decenni trascorsi da esponenti politici e giornalisti che oggi accusano di tradimento chiunque critichi Israele. L’essere diventati i più fedeli amici degli ebrei ormai a destra lo si porta come un fiore all’occhiello. Temo di non sbagliarmi se prevedo che costoro saranno i più lesti nel voltafaccia quando lo Stato ebraico si rivelasse -come purtroppo sta diventando – anziché elemento di garanzia di stabilità per l’Occidente, al contrario, una realtà scomoda di cui sbarazzarsi. La storia del secolo scorso ci ricorda che vi furono anche degli ebrei italiani fascisti. Dovettero pentirsene amaramente.
Mai indifferenti